PJ Harvey – The Hope Six Demolition Project

Il ritorno di una delle voci più abrasive dei nostri tempi non poteva che essere accompagnato da vele più gonfie e da un altrettanto grande disco, “The Hope Six Demolition Project”, undicesima creatura di Polly Jean Harvey, a cinque anni di distanza dal precedente album con cui vinse il Mercury Prize Award. Se con “Let England Shake” la cantautrice del Dorset aveva puntato i fari abbaglianti sulla terra natia e sulle guerre del passato, in questo nuovo capitolo, targato Island Records e Vagrant Records, la denuncia sociale si fa ancora più agguerrita, proprio dal titolo allusivo alla scelta governativa statunitense di smantellare quartieri pubblici di famiglie povere per una nuova ridistribuzione urbana (progetto di demolizione “Hope VI”, per l’appunto). Una scelta a cui si oppone radicalmente la nostra eroina, già nella traccia iniziale, il singolo “The community of Hope”, con il suo finale velenoso (“Costruiranno un Walmart,qui”, una multinazionale). Brano entusiasmante, che riporta in auge tutto il folk rock che in passato ci aveva imbambolati con gusto e scaltrezza (da “Stories from the City, Stories from the Sea” al ruvido “Rid of me”), madido di suoni zigrinati che conferiscono potenza e asperità, in un “j’accuse” che mette sin da subito in chiaro le cose. Somma dei viaggi tra Washington, Kosovo e Afghanistan, l’episodio in questione mette in luce lo sguardo più squisitamente politico dell’artista, bilanciando e travolgendone la poetica tanto nell’eloquio testuale (immagini folgoranti che si addirebbero a una reporter, più che a una musicista) quanto negli strumenti usati (splendide le incursioni del sax, maestoso e imprevedibile). Ciò che rimane, tra la dissacrante “The ministry of Defence” e la misteriosa “River Anacostia” (assimilabile ad alcune installazioni provocatorie di Pipilotti Rist), tra la mite “Dollar, dollar” e la commovente “The wheel” (che canta dei bambini scomparsi nel nulla), è la forza taumaturgica della musica, in grado di sagomare persino le ingiustizie rendendole quanto meno belle da ascoltare. Perché anche nel dolore PJ Harvey sa racchiudere una speranza, come nel refrain di “A line in the sand”: “Credo che abbiamo un futuro/ per fare ancora qualcosa di buono”. Un bagliore che proviene dai visceri, che nessun politico potrà mai eguagliare      

  • 8.5/10
    - 8.5/10
8.5/10

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