Recensione – “Gaslighter” – Anthia

Gaslighter – il progressive metal degli Anthia, epico e mentale.

Herman Rigmant, in arte Anthia, dal nome di un coleottero predatore del deserto, è un cantante chitarrista che ha esordito negli anni 90 con la death metal band lettone Neglected Fields. Con questa band ha avuto contratti discografici con etichette come Eldethorn UK , Scarlet, e Pony Canion , nonché ha aperto concerti di band come Cannibal Corpse, Napalm Death, Dimmu Borgir, Destruction, Therion.

Dopo aver lasciato la band nel 2002 è diventato produttore, manager e chitarrista della cantante gothic Vic Anselmo, pubblicando con lei 2 album e girando l’Europa e la Cina e partecipando ad eventi goth come WGT, Amphi Festival, Castle Fest, Mera Luna. Nel 2013 Herman si è trasferito a Krefeld (Germania) dove ha lavorato come sound guy nei City Teather e scrive anche musiche per diverse produzioni teatrali. Alla fine del 2019 ha deciso di fondare gli Anthia, assieme a Sergey Serg Baidikov (voce) e Sergey Serhio Karshev (basso).

Qui parliamo dell’album di esordio, Gaslighter. Il disco è uno splendido concentrato di metal progressivo, death ed una vasta serie di molteplici elementi, tutto condito da una tendenza apocalittica, acuita dalla perdita di certezza davanti alla pandemia da Covid 19. Ma andiamo con ordine.

Dopo il breve intro industriale Infancy, in crescendo, Gaslighter ci travolge con i suoi tempi irregolari, con la sua mistura di death metal melodico, progressive epico e tecnica sopraffina. Il riff di chitarra ha un colore anni 80, ma la buona dose di tecnica forza il suono in una direzione epica. I Dark Tranquillity, i Death sono qui ancora più progressivi. Molto interessante l’uso del doppio pedale da parte del batterista.

Flabbergast è un brano molto ritmato, che fin dall’inizio propone synth granitici e sinfonici. Il riff di chitarra è, in varie parti, molto serrato e rapido, ma conduce alle sezioni larghe e sinfoniche. È strabiliante notare come la frammentarietà di alcune sezioni sia qui legata in un affresco perfetto. Anthia nell’intro ricorda gli Anathema, ma basta poco (un crescendo vorticoso di archi, con “urlo” di chitarra con floyd rose) per andare verso un riff serrato accompagnato da una splendida batteria. Qui colpisce la ricerca di una dimensione epica, più che progressiva. La sezione melodica iniziale ritorna verso il finale e conduce ad una splendida sezione irregolare e ritmata.

The Origin of Species si apre con dei synth squillanti sui quali echeggiano accordi di chitarra elettrica sospesi. La cura del suono qui raggiunge delle vette estreme, la strofa è irregolare e ritmata. Nel brano sono presenti delle bellissime sezioni affidate unicamente a synth e batteria. Il riff iniziale di Chairborne non è assolutamente un riff metal e ciò dà perfettamente l’idea dell’approccio progressivo di questa grande band. Su tale riff si innesta una batteria martellante, che qui suona più compatta e pomposa rispetto al solito. Anche in questo brano è presente una buona alternanza di parti “serrate” e parti “ariose”.

L’intro di Samedi ci porta verso paesi mediorientali arcani e misteriosi. Il folklore iniziale vira verso una direzione epica, e a metà brano possiamo ascoltare uno strumento inaspettato, ovvero un pianoforte.

Anche Procrastination all’ inizio non sembra un brano metal: si tratta del brano più “regolare” dell’album (se è lecito utilizzare tale termine in riferimento ad una materia così complessa). Exaltation è trash-death allo stato puro. Belli gli inserti corali. Prayer è un gran finale, brano lento e massiccio, pieno di sezioni apocalittiche e frammentarie, con innesti di parlato (affidato a voce femminile), urla di floyd rose, assolti vorticosi.

Il progressive metal degli Anthia è tanto epico quanto mentale. Questa band prova a comunicare l’incomunicabile e riesce nell’impresa. Dopo aver ascoltato il disco, ciò che rimane è un meraviglioso affresco di suoni, influenze e frammenti orchestrati a perfezioni. La band è sulla strada giusta, sulla via dell’originalità e della grande musica.

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