Recensione: “Stone wall” – Ostinàti

Nella storia della musica rock italiana c’è un capitolo fondamentale, scritto attorno alla metà degli anni 70, che andrebbe riscoperto e fatto conoscere: si tratta del cosiddetto Jazz-rock (o meglio Jazz-prog), che con band come Perigeo, il Baricentro, Arti + Mestieri, Napoli Centrale ed altre ha determinato dei canoni compositivi specifici. Tutte queste band sicuramente hanno avuto come punto di riferimento gli Area, ma se questi ultimi attuavano una vera e propria ricerca sonora, le altre band contaminavano il jazz con il colore dei synth e con ritmi rock, realizzando album immortali. Questa concezione sonora credo sia determinante se si voglia veramente comprendere l’approccio compositivo dei siciliani Ostinàti, band che ha pubblicato ad inizio maggio 2021 il disco “Stone Wall”, presente sulle migliori piattaforme di audio streaming e distribuito fisicamente da Lizard Distribution.

Certo, l’opera abbraccia ampi confini, ed i suddetti gruppi costituiscono solo una parte delle influenze: al jazz-rock si unisce, infatti, la fusion (Weather Report, Pat Metheny), lo smooth jazz, fino alla musica etnica, evidente in vari momenti, e soprattutto dall’intento del disco, ovvero quello di esprimere le sensazioni di un viaggio nella Sicilia sud-orientale, con i suoi pittoreschi paesaggi. Modica e la provincia di Ragusa, infatti, costituiscono lo sfondo di vita e di musica per Sergio Battaglia (sax), Riccardo Drago (chitarra), Carmelo Rendo (tastiere), Adriano Denaro (basso) e Giovanni Cataldi (batteria).

I 10 brani presentano la struttura ciclica abbastanza comune nei brani del jazz: tema iniziale, improvvisazioni, tema iniziale variato. Chiaramente tale struttura “esplode” nei vari pezzi, si frammenta in una vasta serie di momenti musicali, ma le composizioni non sono mai veramente eccessive e l’approccio compositivo è sempre equilibrato e razionale, altro grande merito di quest’album.

“Syncro”, prima traccia dell’album, rivela i connotati necessari a comprendere l’approccio della band: synth e batteria, che ricordano vagamente “Watcher of the skies” dei Genesis, durano solo un momento, perché entra il sax (Sergio Battaglia è autore della maggior parte delle composizioni), che espone il tema, abbastanza lungo ed articolato. Il seguito è tutto un susseguirsi di improvvisazioni strumentali. Ascoltiamo tempi dispari, interessanti successioni di accordi, modulazioni, sax predominante.

“St’ James Street” ha un’anima funk, soul, il calore e la spontaneità del tema ricordano il Pino Daniele degli inizi (l’autore di tale tema potrebbe tranquillamente essere James Senese). “Speak No Evil” è una cover del celebre brano di Wayne Shorter, altro indissolubile punto di riferimento per la band. Il tema del brano ritorna costantemente in forme sempre nuove, e cede il posto a vari assoli strumentali. Ci sono, quindi, due interessantissimi brani che dimostrano come il viaggio sia già iniziato da un pezzo.

Basterebbe sentire la chitarra iniziale di “Smooth Lava” per trovarci nel bianco della Sicilia ragusana, ed il brano ha un anima etnica, con echi di Pat Metheny. Ma la vera cannonata è “The end of Horizon”: quasi una samba incastonata in una splendida geometria di ritmi, tra percussioni brasiliane e accordi appena accennati, con un solo di tromba nel finale. “Stone Wall” è un interessantissimo brano smooth jazz, dal colore molto anni 80, con un tema brillante su di un soffuso tappeto di morbide tastiere.

“Runner Mode”, con il tuo tema complesso, è stato brano finalista 2019 al premio Pino Massara, concorso nazionale per composizioni Jazz (assieme alla prima traccia, Syncro). La chitarra elettrica distorta fa pensare agli Hatfield and the north, la batteria è molto interessante. Se “Settembre” è un momento nostalgico, ed è il brano più breve dell’album, “Zu Monucu House Blues”, con il suo inizio con l’hammond molto prog-rock, propone momenti funk e blues. Sax e tastiere risultano predominanti. “Last song” chiude l’album con uno strumento che fino ad ora non abbiamo ascoltato, ovvero il pianoforte. Il brano ha il jazz nell’anima, ma rivela qualcosa di epico, ed il ritmo è quasi bossanova. In sintesi, credo che sugelli a perfezione un disco di una complessità notevole.

L’ostinato, in musica, è la ripetizione continua di una frase sonora, ma tale espressione si addice poco a tale band, se osserviamo come i temi vengano sviluppati e rielaborate in soluzioni sempre originali e notevole. Allo stesso modo “Stone Wall” non è certo un autentico “muro di pietra”, considerando l’invito che la band ci rivolge per un viaggio nella Sicilia del sud… quasi ci prende per mano, ed alcuni brani sembrano corali, voce di un popolo e delle sue tradizioni, attraverso un linguaggio complesso. Credo che l’album possa costituire un ottimo esempio di come nel 2021 è possibile rielaborare il linguaggio jazz attraverso delle contaminazioni complesse, al fine di comunicare emozioni e colori insoliti.

You must be logged in to post a comment Login