Recensione: “Totani su totem” – Blue Parrot Fishes

“Stanotte ho saputo che c'eri: una goccia di vita scappata dal nulla.”. E’ l’incipit di uno dei più famosi romanzi della storia della letteratura italiana. Un intro che calza eccezionalmente a pennello con l’”Intro” di “Totani su totem”, album d’esordio dei Blue Parrot Fishes, uno scherzo geniale che dà vita a uno degli album più bizzarri che si possano ascoltare in vita, prodotto da Cristiano Santini . Passo indietro, doveroso: loro sono Francesco Marino (voce e tastiera), Gianni Capecchi (chitarra) e Ravi Di Tuccio(batteria)e formano la band Blue Parrot Fishes, hano alle spalle già molteplici successi (vittoria del contest palaiese Soms Experience, partecipazione e vittoria all Finali Nazionali di Rock Targato Italia) e provengono dall'entità multiforme della Zona Roveri Music Factory, più precisamente da qualche angolo approssimativo della Volta celeste. Ascoltare il loro disco è un’esperienza, riassumerla è un compito arduo, precisiamolo subito, ma la vale la pena spendere qualche parola per commentare quest’incredibile progetto.Uno pensa di averle sentite tutte in vita: si è concesso gli spazi desolati e iper riflessivi di Michael Gira, la rudezza polemica e alternativa degli Swans, le esalazioni industrial degli Einstürzende Neubauten, ma poi arrivano i Blue Parrot Fishes e tutto va ridiscusso.  Il via effettivo arriva con “Il sogno mio più bello”, brano in cui la voce scalcia come le performance dal vivo di Bertrand Cantat e non si esagera, si erigono mura di suoni coesi, solidi nella bellezza di essere fieramente liberi e ironici, ma mai all'acqua di rose. In “Tra me e me” si ricordano i Fire Trails, i Verdena, ma I BPF si prendono meno sul serio e risultano persino meno etichettabili. Riff al vetriolo e vocals simili a richiami della foresta si mescolano per il puro gusto di variare, “Because change happens”. In “Babylonelya” lasciano che l’ascoltatore si reimmerga nelle decadi in cui alla musica si affidava il compito di mettere le ruote all’animo e di portarlo in altri mondi. Il ritmo si deforma, inafferrabile come un transizione movie maker, per tutta la durata del disco, in cui la fervida immaginazione del trio ingravida una testualità randagia, belligerante, che reca in seno nessuna intenzione di conciliare l’ascolto con sensazioni di benessere ( “Dilianyopolih”, “Porcelli”, “Assurdo”, traccia-equivalente del romanzo “Il gioco del mondo” di Julio Cortázar, parodistico e irriverente). Il disco è una Bakku-shan, una ragazza splendida di spalle che appare spaventosa quando la si guarda in volto: i repentini cambi, gli sbalzi umorali, i vocalizzi impazziti, i rimandi culturali disseminati a ritmo di beat incutono  timore. Ma poi divertono, innamorano, convincono, costringono a togliersi il cappello e a pronunciare l'unico commento possibile: chapeau! Tornando al giapponese, si potrebbe scomodare un altro vocabolo intraducibile nella nostra lingua, che è così appropriato per descrivere la sensazione che si prova dopo aver ascoltato questo disco: Aware, la sensazione dolceamara che si ha quando si sta vivendo un momento di grande bellezza. Agrodolce come il brano omonimo, intensa come “Chillout”.

Tracklist

1. Intro
2. Il sogno mio più bello
3. Tra me e me
4. Babylonelya
5. Dilanyopolih
6. Porcelli
7. Chill out
8. Assurdo
9. Camminatore dei cieli
10. L'inno della banana
11. Lo straordinario dugongo
12. Agrodolce

 

 

 

 

  • 9/10
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