Sanremo 2016: le pagelle di Capitano Aldo

 

Pagelle big Sanremo 2016

 

ARISA, Guardando il cielo
La sua ingenuità potrebbe intenerire fino al grande inciampo: si nomina Dio e la spiritualità millantata viene incorporata in un brano sciapo che non riesce ad andare oltre i dettami pop del Festival. Lasciamo la ricerca a chi la vuole compiere (chi ha detto Alice?) e il mistero, tutt’al più, al collega Ruggieri. 
VOTO: 5

 

ANNALISA, Il diluvio universale
Ignorato (si fa per dire) l’intro troppo simile a Sei bellissima della Bertè, il brano si distanzia dagli episodi precedenti, più grintoso e consistente. Ci viene rivelata un’Annalisa maggiormente pronta, impavida nell’uso della voce e finalmente convinta di non dover per forza farsi erede di Fiordaliso o di Marcella Bella. 
VOTO: 6+

 

PATTY PRAVO, Cieli immensi
Con Patty il tempo è diventato una variabile trascurabile: potrebbe essere il 1998 o il 2003 e non farebbe alcuna differenza. Troppo leggendaria per restare imparziali, complice il supporto di Zampaglione ci regala un brano onesto e ferino, indebolito dalle performance dal vivo che rivelano, a dispetto di ogni ritocco, che il tempo è passato inesorabile. 
VOTO: 7

 

NOEMI, La borsa di una donna
Ormai abituata a calcare il palco dell’Ariston, si arena in un registro vocale che non accentua nessuna delle sue doti e la performance calante nebulizza la grinta che ci si aspetterebbe di vedere. Il brano è bello, il testo finalmente ben scritto (bravo Masini) ma purtroppo non basta: dall’autrice di Made in London è lecito voler di più.
VOTO: 6

 

ROCCO HUNT, Wake up
Impegnato a voler somigliare troppo a Pino Daniele, senza averne minimamente il carisma ribelle degli esordi, mette a segno una hit che sarà tanto ballata quanto presto ignorata da chi ha scoperto l’inghippo: il brano è un insopportabile piagnisteo dai toni dance che per l’ennesima volta ripropone il brodo riscaldato di una critica sociale loffia ormai irritante come le ortiche. 
VOTO: 4

 

IRENE FORNACIARI, Blu
L’eredità pesa come un macigno e mentre Irene fa il possibile per districarsi dalla fama paterna, il risultato non basta: il pezzo è algido, non smuove emozioni, l’impatto emotivo promesso non arriva, nonostante il dramma a portata di mano. Forse è ora di prendere una lezione da Nino Frassica e trovare nuove strade narrative.
VOTO: 6

 

VALERIO SCANU, Finalmente piove 
Se fosse un brano con sensibilità ambientalista avrebbe un senso, se si fosse preoccupato dell’emergenza siccità…allora gli avremmo dato una chance. Ma Scanu prende sul serio un brano ridicolo, che fa dell’anonimato la sua bandiera. Non sa di niente. 
VOTO: 3

 

ENRICO RUGGERI, Il primo amore non si scorda mai
Dopo Frankentein non poteva di certo rimettere a segno un colpaccio del genere e per essere all’Ariston le aspettative non sono state troppo disattese. Con una lezione di stile melodico, Ruggieri porta un po’ di scossa nel Tempio degli zombie. Il testo è deboluccio, ma Enrico rimane il più giovane di tutti. 
VOTO: 7 e mezzo

 

FRANCESCA MICHIELIN, Nessun grado di separazione
La Michielin ha capito la formula del successo e si appresa a diventare la copia della copia di se stessa. Il brano ricorda Invece no della Pausini ed è altrettanto stucchevole. La star di L’amore non esiste ha dimenticato a casa la personalità e anche il buongusto di cantare meno accademicamente. 
VOTO: 4

 

LORENZO FRAGOLA, Infinite volte
Il suo faccino da bimbo è un cavallo di Troia che ben nasconde la pochezza del brano, uno dei peggiori in gara: noioso, scolastico, di un pop demodé ai limiti del sopportabile. Valido per uno spot pubblicitario dei Baci perugina. 
VOTO: 4

 

NEFFA, Sogni e nostalgia
Neffa si è ingarbugliato in un dedalo senza uscite, pieno di specchi: qualsiasi strada imbocchi non riesce più a centrare l’obiettivo. Il pezzo manca di incisività, l’atmosfera è retrò con tutti i demeriti del caso: noiosa, inutilmente melodrammatica, decrescente. Una sagra di sconcerti. 
VOTO: 4

 

CLEMENTINO, Quando sono lontano
La via vittimista al rapper partenopeo è ormai una trivella per le orecchie, l’uso del vernacolo un superfluo richiamo provinciale. Testo mediocre, ritornello inascoltabile e tanto dispiacere per la simpatia di Clementino che non sposa di certo un brano sereno e allettante, ma una cantilena lamentosa, poco radiofonica. 
VOTO: 4

 

BLUVERTIGO, Semplicemente
Chi sono questi cloni inascoltabili? Dove sono quelli di Altre forme di vita? Semplicemente, un brano impresentabile: testo da quinta elementare, presenza vocale di Morgan oscena. Piange il cuore. Il resto è silenzio, ma di imbarazzo. 
VOTO: 3

 

Stadio, Un giorno mi dirai
L’ennesima prova gracchiante del Festival: il brano fatica a partire e Curreri firma un testo insolitamente fiacco, senza crederci troppo nemmeno lui. Spiace penalizzare gli alunni più bravi della classe, ma questa volta l’insufficienza è d’obbligo. 
VOTO: 5 e mezzo

 

Dear Jack, Mezzo respiro
Qualcuno dica loro che non siamo al Festival di Castrocaro e gli insegni che copiare non è sempre formula collaudata di automatico successo: c’è troppo Mengoni in questo brano. Poco nulla del resto. Cambiata la voce, immutata l’essenza poco convincente del gruppo. 
VOTO: 4

 

ELIO E LE STORIE TESE, Vincere l’odio
Ironici, geniali, camaleontici, come sempre paladini della Musica quando l’unica arte del Festival è quella di qualche ospite d’onore e della Raffaele. Sette ritornelli per un mix irresistibile di denuncia tagliata a fette e presenza scenica come sempre sopra le righe. Meno male. 
VOTO: 8

 

DOLCENERA, Ora o mai più (Le cose cambiano) 
Una Dolcenera spoglia di ritornelli semplici, inspiegabilmente incompresa, firma uno dei brani più intimi e validi di quest’edizione. La crisi di un rapporto personale e l’ansia delle opportunità da cogliere rivivono nella nudità di una voce e di un pianoforte che annegano in un coro che mai fu più azzeccato. 
VOTO: 8

 

GIOVANNI CACCAMO e DEBORAH IURATO, Via da qui
I nuovi Gio di Tonno e Lola Ponce? Uno sciroppo melenso che rischia l’oblio e forse la vittoria. Sono lontani i tempi di Ti lascerò e il duetto non va da nessuna parte: scialbo il testo, inesistente la cornice, dissonanti le voci. Si ricicla il cliché portafortuna con Il Volo della canzone italiana per pensionati e forse avrà piena fortuna all’Eurovision. 
VOTO: 5

 

ZERO ASSOLUTO, Di me e di te
Troppo simili ai Coldplay e al Fabi di Una buona idea (citata anche la parola “Partecipazione”), gli Zero Assoluto si materializzano sul palco senza infamia e senza lode. Esecuzione sbilanciata, il più delle volte, con uno dei due che canticchia e l’altro che si dedica alle telecamere. Dimenticabili. 
VOTO. 5 

 

ALESSIO BERNABEI, Noi siamo infinito
Nel tentativo di riportare in auge un rovescio all’atmosfera melò sanremese come aveva fatto Nek con la sua Fatti Avanti Amore, Bernabei sbaglia tutto e regala un motivetto da dance floor con un testo improvvisato. Sciatto e ballerino, non piace a nessuno.
VOTO: 4

 

 

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