“quello che cerco di fare è creare immersione” – Intervista a LVA

LVA ha pubblicato il video di Party: https://www.youtube.com/watch?v=nkBgTkC_8Yk

“Party” è una riflessione cruda e malinconica sull’illusione di connessione in un mondo sovra-stimolante. Stratificata da cruda vulnerabilità, la traccia cattura il paradosso struggente dell’essere circondati, ma invisibili: un urlo silenzioso proveniente dalla folla.

Il simbolismo dell’essere “non invitati” trascende l’esclusione sociale, rivelando un distacco spirituale più profondo nell’era dell’interazione infinita e dell’intimità superficiale. In sostanza, parla della silenziosa devastazione del non appartenere a nessun luogo: non a una stanza, a un gruppo o a un momento. È un inno solenne per chiunque si sia mai sentito solo in una stanza affollata.

Visivamente, il video musicale accentua questa disconnessione emotiva: l’artista, vestita con un abito da sposa e guanti di gomma gialli, diventa una figura inquietante di contrasti: purezza e fatica, tradizione e assurdità.

Girato attraverso una lente difettosa e inondato di toni freddi e sbiaditi, il video rispecchia la de-saturazione emotiva della canzone. I montaggi rapidi e sconnessi imitano il caos interiore sotto la facciata immobile.

Abbiamo rivolto alcune domande all’artista come pure al regista del video Danyor Nevsta

Tra le tue influenze hai elencato artisti molto diversi per stile e genere. Come coesistono, o non coesistono, nel tuo lavoro?

Creare musica ed esibirmi dal vivo come cantante sono due ruoli molto diversi che mi destreggio sul palco. Artisti come Trentemøller, RY X e James Blake hanno profondamente plasmato il mio approccio alla musica elettronica, introducendo il modo in cui il suono sintetico e pesante può coesistere con emozioni pure e una scrittura intima. La capacità di creare spazio e struttura fondendo strumenti organici (la mia voce) con artefatti sonori sperimentali ha influenzato il modo in cui concettualizzo il nucleo emotivo di ogni traccia. Tra le mie altre influenze musicali, fin da giovane, ci sono cantanti e cantautrici di grande talento come Amy Winehouse e Christina Aguilera. L’atto di cantare a squarciagola ed eseguire complesse sequenze vocali sul palco aggiunge una narrazione completamente nuova alla performance di musica elettronica, cosa che trovo molto stimolante.

La ricerca tecnica è una parte importante della tua musica. Puoi aggiungere qualcosa a quello che ho appena detto?

L’interazione uomo-computer offre un’ampia gamma di possibilità sonore per artisti e produttori di musica elettronica. La tecnologia diventa una collaboratrice attiva in questo processo, il che può essere molto “seducente”. Tuttavia, può anche ridurre il legame emotivo tra l’artista e il pubblico, poiché l’attenzione si sposta dalla pura abilità musicale alla manipolazione robotica e alla regolazione delle manopole. Faccio ancora fatica a raggiungere un sano equilibrio. Anche se tendo a lasciarmi trasportare dai set live high-tech e a volte finisco per “controllare le email” sul palco, punto a qualcosa di molto più viscerale.

La musica tradizionale bulgara emerge alternativamente nei tuoi brani. Pensi che certe sonorità della musica elettronica siano eredi della ripetitività rituale di ritmi arcaici?

Assolutamente sì. Sono profondamente orgogliosa delle mie radici bulgare e della ricca eredità del nostro folklore tradizionale. Tempi asimmetrici, strutture ritmiche intricate e armonie vocali strette e spesso dissonanti sono alcuni degli elementi che ispirano indirettamente la mia identità sonora. Credo che ci sia un forte legame tra la musica elettronica e le antiche pratiche rituali, soprattutto nella qualità ipnotica, simile alla trance, creata dalla ripetizione. Ciò che è ancora più affascinante è che nella loro forma originale, le pratiche sciamaniche spesso si basavano solo su ritmo, ripetizione e movimento, come porta d’accesso a stati mentali alterati, piuttosto che sull’uso massiccio di sostanze psichedeliche comunemente associate alla moderna cultura della trance. Questo dimostra che la trascendenza può essere raggiunta solo attraverso la profonda sintonia del corpo con gli schemi ciclici.

Alcune domande per Danyor Nevsta. Nel tuo processo creativo, immagini le tue opere come un commento visivo o come indipendenti dalla parte musicale? Qual è il rapporto, nella tua arte visiva, tra ciò che si vede e ciò che non si vede? Metti in scena un mondo che immagini o uno che già esiste?

Per Party, e in generale, non penso in termini di commento. L’immagine non spiega, amplifica, distorce, sconvolge. Lavoro con ciò che non si vede: disagio, vuoto, spazio interiore. Uso la luce sia per rivelare che per oscurare. Il mondo che metto in scena è reale, ma trasfigurato. Esiste già, come un incubo silenzioso sotto la superficie.

Quando e per quale lavoro è iniziata la vostra collaborazione? Quando avete capito che le vostre produzioni potevano completarsi a vicenda?

Danyor: La nostra collaborazione è iniziata quasi per caso, attraverso una serie di conversazioni che hanno rapidamente rivelato una sensibilità condivisa per l’intensità emotiva e l’ambiguità. La prima vera scintilla è nata quando ho visto come la loro musica trattava il silenzio – non come assenza, ma come pressione. Questo ha trovato una profonda risonanza nel mio approccio alla creazione di immagini. Party è stata la nostra prima grande collaborazione, ma sembrava la continuazione di qualcosa che stava già fermentando inconsciamente. Non ci proponevamo di “abbinare” immagini e suoni, si trattava piuttosto di creare un’atmosfera condivisa, una tensione che entrambi potessimo vivere attraverso i nostri mezzi espressivi. Ad esempio, mentre loro stratificavano le texture sonore, io sperimentavo con lo spostamento di luci e ombre per isolare l’artista nell’inquadratura – due processi paralleli che alla fine parlavano lo stesso linguaggio emotivo.

LVA: Questa è la nostra primissima collaborazione; tuttavia, abbiamo già diversi assi nella manica in arrivo. Come ha detto Danyor, “questo è ciò che succede quando l’arte si comporta male”.

Ci sono cose che si esprimono meglio attraverso la musica o attraverso le arti visive, o ritieni che i due linguaggi siano ugualmente espressivi?

Sono ugualmente espressivi, ma parlano a parti diverse di noi. La musica ha il potere di bypassare la razionalità: ti entra nel sangue, nel respiro. L’arte visiva indugia nella mente; può disturbarti più lentamente. In Party, la musica trasporta il ritmo emotivo: l’ansia, la liberazione, il torpore. Ma è nelle immagini che questo torpore prende forma: gli effetti glitch rispecchiano una sorta di decadimento digitale, mentre il riflettore che si sposta diventa quasi un interrogatorio, un rifiuto di lasciar scomparire il protagonista. Ci sono momenti in cui la musica è soffocante, e io reagisco tenendo la telecamera troppo vicina. Altre volte il brano si apre, e io reagisco con spazio, distanza, immobilità. Non si traducono a vicenda, ma danzano intorno alla stessa ferita.

Nel tuo processo creativo, immagini le tue opere come commenti visivi alla musica o come indipendenti? Qual è il rapporto tra la tua arte visiva e ciò che si vede, o ciò che non si vede? Stai mettendo in scena un mondo che immagini o uno che già esiste?

Non considero mai le mie immagini come un commento. Il commento implica distanza, e quello che cerco di fare è creare immersione. Per me, ciò che non si vede è spesso più importante di ciò che è visibile. Sono interessato ai confini della percezione: ciò che si percepisce ma non si comprende appieno. In Party, ad esempio, la protagonista è circondata dall’oscurità, non solo per ragioni estetiche, ma per suggerire che ciò che la perseguita sia fuori campo. I riflettori la seguono come una domanda a cui non si risponde mai. Gli effetti glitch suggeriscono non solo un segnale interrotto, ma un’identità fratturata. Non sto inventando un mondo, sto rivelando le crepe di questo. Ciò che vedi è ciò che è già qui, solo reso visibile attraverso il disagio, la ripetizione e il collasso. Il mio obiettivo è esporre la tensione tra presenza e scomparsa, tra essere guardati ed essere effettivamente visti.

You must be logged in to post a comment Login