RECENSIONE: Napodano – “Storie di una sera… con poca gente”

Napodano

C’è un momento, verso la fine dell’album, in cui Napodano sussurra “Il filo dell’aquilone” e sembra quasi chiederti: “Hai capito cosa volevo dire davvero?”
E tu non lo sai. Ma ci sei stato dentro.

“Storie di una sera… con poca gente” non è un disco da sottofondo, non ti accompagna mentre fai la doccia o prepari il caffè. È un disco che ti fa fermare a metà gesto. Che ti costringe a tornare indietro e riascoltare una frase perché forse, solo forse, ti ha colpito più di quanto pensavi.

Napodano scrive con una penna che non cerca il consenso. O almeno, questo è quello che dice.
La verità — e gliela riconosco — è che in mezzo a tanta musica patinata, la sua voce graffiata e sincera è una boccata d’aria con dentro anche un po’ di fumo. Non è tutto pulito, non è tutto giusto. Ma è autentico. E oggi, è già tantissimo.

Ci sono canzoni che ti prendono di petto, come Di martedì, e altre che ti sfiorano con un retrogusto d’addio, come Ciao. C’è ironia — a volte affilata come una lama, come in Carlo Conti — e c’è disincanto, che però a volte scivola quasi nel cinismo.
Ecco, se dovessi muovere una piccola critica, direi che ogni tanto Napodano sembra voler sparare a tutto e a tutti, quasi per paura di rimanere fuori da certi giri. E se da una parte lo capisco, dall’altra mi chiedo: non sarebbe ancora più potente scegliere dove mettere davvero il proprio sguardo, e non solo dove puntarlo?

Perché quando Napodano si ferma — non per accusare, ma per raccontare — allora succede la magia. Cammino sui muri è una piccola perla: un valzer storto, quasi fragile, che sembra scritto per chi si è perso e non ha fretta di ritrovarsi.
Niente di speciale, invece, è una trappola ben riuscita: si presenta con modestia ma ha un testo che fa il giro largo e poi ti frega. È una delle migliori del disco.

Napodano è uno che vive di musica — e lo dice, lo rivendica. Ma si sente, tra le righe, che vorrebbe anche vivere per la musica. E qui c’è tutta la differenza del mondo.
Perché “fare il proprio mestiere” non è sempre la stessa cosa che spaccare il proprio cuore in due e lasciarlo lì, su un palco, davanti a poca gente.
Ma lui ci prova. Sempre. E gliene va dato atto.

Questo disco è un po’ così: imperfetto, diretto, sincero, a tratti pungente fino a diventare scomodo — ma mai finto.
È Napodano che si mette a nudo, anche quando non ne ha voglia. Anche quando si protegge dietro l’ironia.

Io, alla fine, ho chiuso l’ascolto con una domanda in testa:
Se ci fosse stata più gente quella sera… Napodano canterebbe uguale?
Spero di sì. Perché, nel bene e nel male, è questo che lo rende diverso.

Napodano

Napodano

Voto: 7,5

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