Recensione: Enzo Avitabile – Lotto infinito

Dopo quattro anni trascorsi dal leggendario “Black tarantella”, Enzo Avitabile torna a scuotere il vessillo della poesia sociale, marchiata Sony Music, dal titolo straripante “Lotto infinito”, una terra emersa in cui far risuonare tutti i sussulti del nostro tempo e i malumori di una generazione impoverita e irascibile come mai prima. L’inarrestabile spiritualità si rincorre per i brani come un filo di perle senza epilogo, in cui ogni finale è un preludio ad altre emozioni, talora di sconforto, talora di desiderio di riscatto. Si canta, in “Napoli nord”, dei vagiti della periferia, l’asse strafottente in cui i sogni rimbalzano come pietre sui massi, sbriciolati su una furia ritmica bella come ai tempi di “Nun è giust”. La Campania che sanguina è uno stato mentale che riflette le sofferenze di un’umanità afflitta dalle ingiustizie,come lo erano la Padania degli Afterhours e “The Island” dei King Crimson. Sono impagabili, le collaborazioni, quasi un canto-nel-canto; su tutte, spiccano quelle con Giorgia e De Gregori. La prima, in “De profundis”, si fa canto sacrale di muezzin, con la voce dell’interprete che porta il formato digipack a una dimensione puramente trascendentale, alla solitudine dei veri, incartati nei loro sogni lucidi di isolamento. Nella seconda si avverte tutta la forza stilistica del cantautorato d’eccellenza, che crea l’incantesimo, la genesi dell’impossibile dell’angelo nero, metafora lirica dei profughi annegati in mare. Bene anche per i featuring con il rapper Caparezza, in “Amm a amm a”, duetto infervorato sull’urgenza di un cambiamento, che illustra l’invalicabilità delle montagne culturali quando sono assenti l’intenzione e la dignità e con Daby Touré, in cui si mette in scena l’intuizione della disperazione, con un urlo talmente bello da avvolgersi nei fili delle cuffie. Avitabile, con la sua indiscussa classe e con l’esperienza accumulata, canta di una vita che “è sacra e va rispettata”, attraverso le cantilene lugubri e massacranti (quell’”Abbi pietà di noi” che fa male da ascoltare) e visioni simboliche (il duetto con Zero in “Bianca” che difende l'etimo germanico blank, lucente, ad indicare le cose possibili, il divenire), non lasciando mai nulla al caso, nemmeno negli intervalli linfatici cantati in arabo. Come dichiara in “Jastemma d’ammore”, Enzo è un poeta di quelli “a contatto con la carne del mondo”, e non dimentico che il “dolore è normale come il vento” e che “la morte è una bella giornata” ribadisce indomito che in questo passaggio sulla Terra è sempre “meglio una tammurriata che una guerra”. 

  • 9/10
    - 9/10
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