Intervista a Tom Armati: «”Tommasochista»

Tom Armati

Abbiamo intervistato Tom Armati, fresco di pubblicazione del suo nuovo album “Tommasochista”, un progetto che attinge alla tradizione dei cantautori italiani: canzoni che scivolano via in un mix di leggerezza e disincanto, con momenti più ritmati che si alternano a ballad più intime.

 

Ricordi quali sono stati i primi pezzi che hai suonato? I classici pezzi del cantautorato italiano o altro?
Ho imparato a suonare la chitarra più o meno all’età di 12 anni, anche se il mio strumento principale è poi diventato il basso elettrico. I primi pezzi che ho imparato in realtà erano stranieri, appartenenti al movimento grunge o comunque al pop-rock anglosassone anni ‘90. Mi sono avvicinato più tardi alla musica italiana, approfondendo i grandi cantautori degli anni ‘60/’70 che prima conoscevo solo superficialmente. Una conoscenza tardiva che però mi ha influenzato molto come si può sentire in questo ultimo disco.

Parliamo dell’EP “Tommasochista”. Qual è la frase che più ti rappresenta e perché?
Questa domanda è molto difficile anche perché tutte le canzoni sono come figli e non vorrei scontentare nessuna. Se posso ne scelgo 3. La prima è in “Tutto sbagliato”: “Questo ritornello adesso è tutto sbagliato e non vuol dire niente”, perché rappresenta un po’ la mia voglia di far viaggiare insieme testo e musica anche a livello di significato (in questo caso il ritornello ha un cambio in maggiore dissonante proprio ad accompagnare il testo”).
La seconda è in “Respira”: “Anche se dentro mi sento un asceta, faccio una vita da maratoneta, sempre di corsa tra mille pensieri e intanto oggi diventa già ieri”, perché rappresenta il contrasto che vivo quotidianamente tra la mia calma e la mia irrequietezza.
La terza è nella canzone “Luigi ho sognato che morivi” e dice “Siamo supereroi, non svegliateci mai, che una vita intera non ci basta per fermare il tempo” e forse ci riguarda tutti. Ne ho dette troppe?

 

Quando è nato il germe della scrittura, già nell’adolescenza scrivevi e di cosa?
Quando ho iniziato a suonare alle scuole medie, contemporaneamente ho iniziato anche a scrivere canzoni. È stato un istinto che ho avuto da subito. Le mie prime canzoni erano molto divertenti, un po’ scopiazzate da altre, con dei testi alquanto bizzarri con parole di cui nemmeno sapevo bene il significato. Con i miei fratelli ogni tanto le ricanticchiamo ancora e ci facciamo grandi risate. Da lì non ho mai smesso, ne ho scritte tantissime è la cosa che mi diverte di più fare.

Solitamente dai più importanza ai testi o alla musica?
So che la risposta è banale ma a entrambi. Non ho un approccio da cantautore classico e la melodia per me è fondamentale: in questo sono beatlesiano fino al midollo. Però allo stesso tempo, credo che i testi siano la cosa che mi caratterizza di più, quindi alla fine l’idea del brano parte da lì.

Ti senti insicuro quando il lavoro è finito? Ti ritrovi a pensare: ‘sarà una buona canzone?
Ovviamente, tutte le volte. Mi metto continuamente in discussione, a volte anche troppo. Però ho imparato anche a fregarmene un po’ del giudizio degli altri e a non dover piacere per forza. Credo che poi la resistenza al tempo sia il criterio migliore per giudicare se una canzone è buona, al di là delle mode o dell’Hype del momento. Poi se è rimasta impressa anche a una sola persona, già è valsa la pena pubblicarla.

Hai intenzione di portare “Tommasochista” sul palco? Qualche data in cantiere?
Certamente e non vedo l’ora di farlo, soprattutto insieme al gruppo con cui ho registrato il disco e che ormai per me rappresenta una sorta di famiglia allargata. Per ora sto facendo qualche data acustica in solitaria su Roma, ma spero presto di fare una presentazione più strutturata, anche perché la musica dal vivo sta ripartendo finalmente.

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