Recensione – “Worship” – Andrea Agosta

Artista ragusano, Andrea Agosta nasce come chitarrista sperimentale. Nel 2013 dà vita al suo primo progetto, Paradisi artificiali, nel 2016 comincia a strizzare l’occhio verso la musica ambient. Amante di tutte le arti, nel 2020 ha pubblicato un raccolta di quindici poesie dal titolo di Rumore.

Nell Ep 2021 è la volta dell’Ep The River nel quale la ricerca musicale dell’autore si esplicava in una notevole quantità di elementi, a volte anche dal sapore folcloristico. È però sempre l’elettronica a costituire il collante per una vasta serie di suoni, stati d’animo. Il disco è dedicato al pittore espressionista Mark Rothko, e costituisce un buon punto di partenza per esplorare la musica di questo artista: chitarre, delay e riverberi riempiono le 5 tracce in modi sempre nuovi e complessi. Successivamente Andrea pubblica il singolo Ruins, un tentativo di riedificare qualcosa partendo dalle ceneri lasciate dalla pandemia.

Andrea torna, a distanza di un anno, con l’EP Worship, pubblicato dalla label indipendente siciliana Isulafactory.

Questo disco è disponibile dal 2 dicembre sulle migliori piattaforme di audio-streaming. Costituito da 5 tracce, l’opera esplica al meglio le capacità creative dell’artista, che qui intende proporre un viaggio spirituale, proponendo la ricerca di un’avventura interiore, che è anche approfondimento della propria coscienza e realizzazione alternativa della propria personalità, anche in contrasto con il materialismo dei nostri tempi.

La prima traccia, Hymn, risente di un’influenza anni 80, ma i campionamenti, il bending di chitarra che risuona in loop creano un’atmosfera ora mistica ora disincantata. Il brano dà il meglio di sé attorno alla metà, quando inizia un crescendo dal suono abbastanza arcano. Nirvana, molto anni 90, inizia tra house e chill-out, poi lascia predominare i synth sovrapposti e dissonanti. Nel finale i toni bassi creano ottimi tappeti sonori.

In Pyramids la ricerca della melodia tout-court cede il passo alla ricerca di geometrie perfette. Il brano si sviluppa su continui innesti sonori, creando un atmosfera dolce e introspettiva. Il viaggio diventa, qui, mistico. Il brano ha, inoltre, una struttura speculare: il culmine è qui raggiunto a metà traccia, successivamente inizia la discesa. Their Blood presenta delle strutture speculari, dei synth percussivi, veri e proprie impalcature. Nella breve Dust troviamo in sintesi gli elementi che caratterizzavano i pezzi precedenti.

Andrea Agosta è sicuramente influenzato da tutta l’elettronica, è appare molto concentrato nella ricerca formale più che contenutistica: è come se volesse dirci che un viaggio introspettivo sia possibile solo attraverso strutture assolute, ideali (in tal senso la ricerca sonora degli Autechre costituisce un buon esempio). Il disco è un’ottima opera perché costituisce un approccio originale ed autentico nei riguardi di un certo materiale sonoro. Siamo sicuri che Andrea abbia trovato la strada giusta, quella dell’originalità e della buona musica.

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