“Niente da dire”, intervista a Lemuri il Visionario

Lemuri Il Visionario

Abbiamo avuto modo di ascoltare “Niente da dire”, il nuovo singolo di un artista molto interessante, Lemuri il Visionario. Vittorio Centrone, questo il suo vero nome, nel 2004 è stato la voce maschile nel progetto Haiducii con la hit “Dragostea Din Tea” con oltre un milione di copie vendute in Europa. Nel 2010 ha creato il suo alter ego Lemuri il Visionario che grazie al fumettista Giulio De Vita è diventato un libro e un’opera rock rappresentata in Italia, Stati Uniti, Canada e Francia. Da quest’opera prendono vita i brani racchiusi nel suo ritorno discografico “Viaggio al centro di un cuore blu” previsto per la fine di aprile.

 

Che ruolo ha la musica nella tua vita?
Direi primario e fondamentale fin da bambino. Ho sempre viaggiato in mondi paralleli attraverso la musica e la ritengo il mezzo magico più potente che possiedo per dare corpo ai miei sogni. La mia famiglia aveva un forte legame con la musica. Mia madre e tutti i suoi fratelli suonavano il pianoforte. Lei racconta ancora che da piccolo uscivo sul terrazzo di casa e cantavo a squarciagola “Ho scritto t’amo sulla sabbia” applaudito da tutti i vicini. Quindi era scritto che avrei fatto il cantante.

Nel contesto della musica italiana, spezzato fra un indie sempre più commerciale e una trap che si impone prepotentemente, dove pensi che si trovi la musica e lo stile di Lemuri Il Visionario?
In una nuvola senza tempo spinta da un vento che soffia controcorrente. Ma non è una scelta razionale. Tutto nasce dall’esigenza di essere me stesso fino in fondo e soprattutto coerente con quello che sento nel mio cuore blu.

Il singolo “Niente da dire” descrive l’incomunicabilità delle emozioni. Ce lo spieghi meglio?
Credo fermamente che tutte le emozioni più importanti, quelle che segnano la nostra esistenza nel profondo e ci provocano un cambiamento, un’evoluzione, siano difficilmente esprimibili attraverso le parole. La vita per me è un miracolo che va semplicemente vissuto e osservato con immensa gioia ed occhi colmi di fanciullesco stupore.

 

Oggi, quanto è difficile riuscire a realizzare un album? Sia dal punto di vista pratico che progettuale?
Questo è un periodo storico in cui la fruizione della musica è sempre più veloce è frammentaria. Si tende ad ascoltare singole canzoni di artisti diversi raccolte in anonime playlist senza prendersi il tempo di entrare veramente nel mondo di un artista. Per contro, molti autori, si limitano a pubblicare un singolo dietro l’altro senza più preoccuparsi di legare le canzoni ad un progetto strutturato che possa guidare l’ascoltatore in un vero viaggio emozionale. Quindi si, è indubbiamente difficile soprattutto dal punto di vista progettuale perché si è costretti a navigare controcorrente. Per guardare però al futuro con ottimismo, si può fare. Ci vogliono un pizzico di caparbietà in più e la voglia di essere sé stessi a qualunque costo. In quel caso il pubblico apprezza la sincerità della proposta e anzi si crea un rapporto molto solido con chi ti segue.

Qual è stato l’ostacolo più grande che hai incontrato fino ad ora?
Il mio unico nemico è da sempre la pigrizia. Spesso tendo a non fare le cose perché la tentazione di rimandarle è molto forte. Ma ho trovato l’antidoto. Cerco di farmi coinvolgere soltanto in progetti che mi appassionano profondamente per avere la forza di essere operativo.

Cosa pensi guardando al passato e cosa proiettandoti nel futuro?
Penso con gratitudine e tenerezza a ciò che è già stato e cerco di concentrarmi sul momento presente per viverlo più intensamente possibile. È l’unico modo per dilatare il tempo e far sembrare il futuro più lungo e non sfuggente come in realtà è.

Ti va di fare un saluto ai lettori di StandOut Magazine?
Con grande piacere. Un ideale abbraccio visionario a tutti coloro che avranno avuto la pazienza di arrivare a leggere questo saluto e complimenti perché di giornalisti curiosi e di lettori, in questo tempo un po’ squinternato, ne abbiamo davvero bisogno.

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