L’Officina della Camomilla – Palazzina Liberty

Nel claustrofobico film di Vincenzo Natali del 1997, “Cube”, l’ambientazione era una stanza cubica con sei sportelli che davano su altrettante stanze: entrare in quella sbagliata significava automaticamente cadere in una trappola mortale. Il gioco è lo stesso, nel nuovo disco de L’Officina della Camomilla, “Palazzina Liberty”: bisogna svincolarsi dall’idea di continuità e tuffarsi ciecamente in un maelstrom di sonorità fulminanti, testi a primo ascolto nonsense, strutture continuamente in variazione. Quarta prova in studio per Garrincha Dischi, seguito della trilogia “Senontipiacefalostesso” e prodotto in solitaria da Francesco De Leo, il progetto spalanca le porte dell’ignoto con un’intro angosciante che calzerebbe a pennello a una qualsiasi colonna sonora di E. Elias Merhig, seguita da “Underpass”, anch’essa cinematografica, inquietante, capace di incubare un’emozione reale, percepibile. Il primo tranello giunge con “Exit”, un motivo morbido lounge, apripista di “Mio fiore pericoloso”, un valzer che si infuria con gli archi, un tappeto elegante di suoni che franano all’arrivo impetuoso di “Triangolo industriale”, traccia techno industrial da cardiopalma che precede il noise rock di “Macchina metallica”.  Lo zenit si ottiene con “Soutine twist”, dai colori celtici e simile ai capricci di violino, la vetta di un disco che ha i suoi antenati tra i Verdena di “Enkadenz vol 2” e i Bluvertigo di “Metallo non metallo”. Non si è di fronte a un album bello, perché l’estetica non è il traguardo da raggiungere: lo sono il mistero, la distorsione, l’abisso, che sono più autentici che mai. Una prova di coraggio da applauso.

  • 8/10
    - 8/10
8/10

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