Recensione: “Holographic Ghost Stories” – Demiurgo

Il mondo della autoproduzione, snobbato un po’ troppo spesso dagli addetti ai lavori del music business, dimostra di poter camminare sulle proprie gambe, libero da scelte imposte, immerso in una indipendenza artistica che dovrebbe far “paura” a chi tenta di schematizzare e imbrigliare le forme espressive, riducendole ad una raffica di proiezioni algoritmiche che ci tediano nelle calde notti estive al bar.

E’ Platone che dobbiamo scomodare, qui, che dà alla forza plasmatrice e formante il nome di “Demiurgo”, il Genio, l’ingegnere che costruisce per sapienza. Ed è con grande sapienza che proprio Demiurgo, al secolo Paolo Di Pierdomenico, mette su queste storie di fantasmi.

“Holographic Ghost Stories” è un disco costruito perfettamente. Troviamo difficilissimo concepire e parlare di brani singoli in questa opera che mantiene un continuum sorprendente, facendoci percepire le canzoni come nicchie cave dello stesso lungo corridoio che ci accingiamo ad attraversare.

Le influenze Cyberpunk e IDM sono chiare e benedette, ma quello che rende il disco una vera perla è la commistione perfetta tra suoni che possono essere riconducibili ad ambiti di genere diverso, primi su tutti Retrowave e Vaporwave, senza tralasciare il lavoro oscuro e determinante del noise, dosato con una capacità fuori dal comune.

C’è tempo, con Epiphany, di sentire una leggera nostalgia per le linee melodiche della disco mainstream ’90/’00, un momento dell’album in cui abbandoni per un attimo il viaggio astrale, quasi un intervallo prima di viaggiare di nuovo spediti verso l’epilogo.

Quello di Demiurgo è un disco di chi i dischi li sa fare, di chi sa come prendere per mano un ascoltatore, di chi sa come creare una bolla sonora isolante che esplode infine lasciandoti un gran senso di soddisfazione… di chi sa come fare in modo che tu ti chieda “Allora quando riaprono le discoteche?”.

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