Recensione: Roberto Cacciapaglia – Atlas

Roberto Cacciapaglia

L’ultima fatica discografica del Maestro Roberto Cacciapaglia, pubblicata il 25 novembre, ha il nome di “Atlas” (Self). Il disco contiene al suo interno 28 tracce che ripercorrono le tappe fondamentali della carriera del compositore, con l’aggiunta degli inediti “Mirabilis” e “Reverse”, affiancati da un’eccellente rivisitazione del cult bowiano “Starman”, incolume da ogni pericolo d’oltraggio. È un doppio cd che risponde al comando “nomina-sunt-omina””, che traslittera titoli di canzoni in paesaggi, flashback, presagi precisi. Il ritmo si avverte dal primo tuffo, “Endless time”, ed è sulfureo, dipanato, incorporeo. Un’onda di sensazioni che farebbe ritrovare l’amore anche ai più cinici, brano sfilacciato nel cielo, intuibile ma non identificabile. La classe non si discute: Cacciapaglia gioca con gli strumenti così sapientemente che, mescola e rimescola, sembra di averli immaginati tutti nella propria mente. In questo modo, emersi dai discorsi e dalle trame acquerellate, i suoni d’archi sono potenti come quelli di Anna Þorvaldsdóttir (“Ocean” più di tutte), talvolta presi da furia ammattita di atmosfere ultraterrene, come nell’inedito proposto, che ha l’animo di petardo a ricordare “The final countdown” degli Europe. Accadono eventi portentosi, durante l’ascolto: in “Atlantico” l’inizio quasi pop alla Giovanni Allevi s’irrobustisce via via con le increspature tradizionalistiche di un “Kaval sviri” pieno di gloria, in “Sillaba” i panorami si schiudono come papaveri, ricordando stati d’animo disseminati come horcrux, nei quali l’autore ha eclissato schegge della propria anima. Molti sono i colori che raggiungono l’udito e quindi l’anima: in “Prelude”  un ciano domina i suoni come fosse direttore artistico suonando comunque fresco, ribelle come il color denim dei jeans strafottenti, nella sua veste sprezzante. Il potere del suono non è mai esercizio, mai algido, e ritroviamo in più di un’occasione (“Seconda navigazione”, “Figlia del cielo”, “Sonanze”) l’impressione di ascoltare la cadenza di un carillon che pizzica le coronarie del cuore. Le ragnatele di qualsiasi amante della musica saranno tante, senza dubbio: gli echi di Enya che rotea nella stessa stanza di Meredith Monk, le sceneggiature di Kitaro che si congiunge con la delicatezza tragica di Hans Zimmer. Ma tutto si trascina la firma insostituibile di Cacciapaglia, acrobata che nuota nell’aria delle proprie possibilità con la certezza, raggiunta la tappa del ‘best of’, di avere già tanto alle spalle.  E la convinzione, mai tradita, che fare poesia significa comporre e che quindi è doveroso frammentare i sentimenti per ridonare vita ad affreschi più compatti di meraviglia pura. Obiettivo nuovamente raggiunto. 

  • 9/10
    - 9/10
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